C’è un “edificio”, sulla carta IGM del 1884, sopra le Vigne Secche: è quotata a 337 m. C’e ancora nella edizione aggiornata del 1914, ma anche in quella del 1933. L’è la cà dal carbunìn, mi dice Celeste ripescando nella sua memoria: un dì ta porti su a videla. Una mattina di febbraio siamo in tre ad arrampicarci per un erto sentiero di S. Quirico: io, Celeste e i suoi ottantasei anni appoggiati ad un bastone. Su questo sentiero, una volta, chi di Munistee nivan sù cui car, adess sa passa pù gnanca a pè. I resti sono ancora là, poco più di tre metri per tre: la vegetazione e le intemperie non li hanno ancora vinti. Celeste dice che si chiama cà dal carbunìn perchè era il riparo per chi produceva il carbone di legna nei boschi intorno. Poche parole, pochi ricordi tramandati di padre in figlio che celano sicuramente una piccola verità. A noi il compito di darle più corpo facendola riaffiorare come i muri di porfido dallo strame e dalle edere.
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